Francesco Moscatelli/ La Stampa

Trent’anni dopo «Ragazzi di stadio», il primo film-inchiesta sul fenomeno ultrà in Italia girato a Torino da Daniele Segre nel 1980, gli spalti del Comunale-Olimpico tornano sul grande schermo.

Oltre cento ultrà del Toro arruolati come comparse. I fumogeni, gli striscioni, gli spintoni nei bagni prima della partita. E poi i cori, i panini, i bicipiti tatuati, la droga e i soprannomi. «Secondo Tempo», opera prima del regista milanese Fabio Bastianello che sarà nei cinema dal 23 aprile, sembra quasi un documentario. E forse è questa la prospettiva giusta da cui guardarlo, al di là della trama scontata e del finale che sa un po’ troppo di fiction tv. Il film, il primo in cui un gruppo di veri ultrà accetta di recitare davanti a una telecamera, dura quanto una partita di calcio: centocinque minuti, intervallo compreso, di piano sequenza “in soggettiva”. «E’ un prodotto inusuale – spiega il regista -, inconsueto rispetto ai canoni cinematografici a cui siamo abituati. E’ proprio nella diversità che sta la sua forza. Si potrebbe quasi definire brutto, nel senso che non rispetta le classiche regole della cinematografia, specialmente quella italiana».

La macchina da presa si dimentica fin dall’inizio del rettangolo verde e dei giocatori. Compaiono solo un paio di volte, all’interno di un piccolo monitor, ma sembrano omini del calcio-balilla: da una parte i blu, dall’altra i granata. I veri protagonisti sono Nick, un poliziotto infiltrato fra i tifosi, e i capi della curva: Lupo, il Griso, Attila. Al centro del racconto ci sono i loro valori: l’obbedienza al capo, l’onore, la lealtà, la fiducia, le regole da trasmettere alle nuove leve. Ma soprattutto il loro progressivo e inesorabile perdersi nella violenza. «Proibire le cose non serve a nulla. Aumenta solo la voglia di farle». Una violenza senza senso ma attesa da tutti, quasi invocata: «Qui scoppia un casino. Qui scoppia un casino. Qui scoppia una casino». Il ritornello si avvera dopo il furto dello “striscione” da parte della tifoseria avversaria. Cinghiate, sprangate, volti insanguinati. Poi il nemico diventa alleato nella comune battaglia contro le forze dell’ordine.

Alla fine ne esce un ritratto degli ultrà che farà certamente discutere. E che, molto probabilmente, farà innervosire per l’ennesima volta i diretti interessati. «Da quando è stata presentata l’idea, all’ultimo festival di Cannes – continua Bastianello -, abbiamo raccolto pareri contrastanti: di chi si è innamorato sin dall’inizio dell’audacia del progetto e di chi era convinto invece che avremmo prodotto un film poco realistico, romanzato e demonizzante nei confronti delle tifoserie organizzate. Il mio intento è semplicemente quello di riportare fedelmente quanto accade nelle curve degli stadi italiani, raccontando di una giornata tipo che si trasforma in un evento eccezionale. Per raggiungere questo obiettivo ho frequentato per diversi mesi gli stadi e mi sono avvalso della consulenza di veri ultrà».

Da «Ragazzi di stadio» sono passati trent’anni. In mezzo ci sono stati la tragedia dell’Heysel, i tifosi morti accoltellati, i poliziotti caduti in servizio, la «tessera del tifoso». Eppure l'universo della curva, con i suoi codici e i suoi rituali, è ancora molto difficile da afferrare.